La domanda potrà sembrar banale, ma la questione giuridica sottesa ha richiesto l’intervento sia della Suprema Corte di Cassazione che della Corte di Giustizia dell’Unione europea .
Procedendo per gradi, è possibile dire che con l’atto di scissione una società assegna il suo intero patrimonio (o una sua parte) a più società (o ad almeno un’altra), già esistenti o di nuova costituzione, e le relative quote ai soci di queste (art. 2506 c.c.).
La scissione è atto complesso e a formazione progressiva. Inizia con la redazione di un “progetto di scissione” da parte dell’organo amministrativo delle società partecipanti, e termina con l’iscrizione dell’atto nel registro delle imprese, dalla cui data produce effetti (artt. 2506-bis e ss. c.c.).
Tuttavia, terminata l’iscrizione, l’atto di scissione non può ancora essere attuato, in quanto la legge prevede un termine di 60 giorni entro cui i creditori della società scissa possono presentare formale opposizione in Tribunale, qualora ritengano che l’operazione societaria leda i propri diritti di credito.
Trascorso tale termine, l’atto di scissione diviene definitivo e l’invalidità dell’operazione non può più essere pronunciata. Ai creditori, non resta che il solo diritto al risarcimento, qualora provino che l’operazione societaria abbia cagionato loro un danno (artt. 2506-ter c.c., che rinvia alla disciplina codicistica in tema di fusione, inclusi gli artt. 2503 e 2504-quater).
Considerata la disciplina codicistica sopra tratteggiata, alcuni interpreti, seguiti da una parte della giurisprudenza, hanno ritenuto che la legge, con una disciplina serrata, intende tutelare la certezza dei rapporti giuridici e l’effettività dell’operazione di scissione complessivamente considerata.
Infatti, scaduti i termini per presentare opposizione, non sarebbe più possibile tornare indietro.
In altre parole, il legislatore avrebbe previsto un sistema di tutela chiuso e asfissiante, secondo cui l’esigenza di certezza che permea l’operazione societaria sovrasta i diritti dei creditori, i quali se non hanno formulato vittoriosamente opposizione nei termini perentori di legge, fatta salva l’operazione, godono della sola tutela risarcitoria.
In tale contesto, si staglia la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, la quale, seguendo un diverso orientamento e tramite una attenta interpretazione della disciplina in materia, ha riconosciuto l’applicabilità di un ulteriore strumento di tutela per i creditori della società scissa, ossia l’azione revocatoria.
Tale azione, infatti, esperibile in presenza dei presupposti che gli sono propri, e comunque entro 5 anni dall’atto impugnato, ha il solo effetto di rendere l’operazione societaria inefficace rispetto al creditore o ai creditori che l’hanno vittoriosamente formulata. Per essi, l’operazione non è opponibile, con conseguente ottimale soddisfazione del credito vantato.
La decisione della Suprema Corte risulta armonica con la disciplina giuridica in tema di scissione, in quanto conformemente alla legge, l’azione revocatoria non incide sulla validità dell’operazione di scissione, che resta salva, bensì sulla sua attitudine a produrre concreti effetti (c.d. inefficacia relativa), a tutto favore dei creditori.
Si inserisce in tale ambito, confermando indirettamente la legittimità della decisione presa dalla Corte di Cassazione, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Infatti, la disciplina italiana in tema di scissione (e di fusione) è stata rinnovata per attuare nel nostro ordinamento normative comunitarie (da ultimo, Direttiva UE 2017/1132 del 14 giugno 2017).
La disciplina europea, attuata con legge italiana, si propone di realizzare un non facile bilanciamento tra la certezza dei traffici giuridici e delle operazioni in ambito societario e la tutela dei creditori rispetto a siffatte operazioni.
Interrogata sul punto, la Corte di Giustizia ha ribadito che la previsione normativa del potere di opposizione in capo ai creditori della società scissa, deve ritenersi “un sistema minimo e indefettibile di tutela”, fermo restando la legittima previsione, da parte del singolo Stato, di ulteriori strumenti volti a tutelare le ragioni dei creditori nel contesto di tale operazione societaria.
Nulla osta, in buona sostanza, se tali ragioni sono tutelate anche, e non solo, per effetto di uno strumento diverso dall’opposizione, come l’azione revocatoria, considerato, a maggior ragione, come tale strumento di tutela mini i soli effetti e non anche la validità dell’operazione societaria considerata.
Le pronunce oggetto di questo breve commento, segnano una importante chiarificazione dell’ambito e della latitudine di tutela di soggetti, come i creditori, estranei alle vicende societarie e alle operazioni straordinarie di società.
Esse rammentano come i medesimi non siano meri spettatori impotenti rispetto alle vicende in questione, e che possano compiutamente tutelare i propri diritti anche con riferimento e nel contesto di operazioni siffatte.
1 Cass., Civ., Ord. 4 dicembre 2019, n. 31654, così massimata: In difetto di adeguato fondamento normativo – da escludersi alla luce del riferimento alla categoria dell’invalidità e non a quelle dell’inefficacia e dell’inopponibilità – non può quindi ritenersi che l’opposizione che compete ai creditori sia un rimedio sostitutivo e necessario e non solo aggiuntivo rispetto all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria, di cui sussistano i presupposti.
2 CGUE, 30 gennaio 2020, causa C-394/2018;
FONTI:
– Cass., Civ., Ord. 4 dicembre 2019, n. 31654;
– CGUE, 30 gennaio 2020, causa C-394/2018;
– https://www.altalex.com/documents/news/2020/01/21/scissione-di-societa-non-impedisce-revocatoria-per-debiti-tributari
Dott. Giulio Filardo (Avv. abilitato)