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microsoft-vs-google

Microsoft e Google hanno raggiunto un accordo per chiudere circa 20 contenziosi che le contrapponevano sia davanti ai tribunali degli Stati Uniti che a quelli tedeschi e chiude un contenzioso che si protraeva ormai da cinque anni. Questo era stato ereditato da Google con l’acquisizione di Motorola: nel 2010 Microsoft aveva convenuto in giudizio Motorola accusandola di danneggiare i propri diritti di proprietà intellettuale su alcune applicazioni di Android che questa installava sui propri dispositivi. Microsoft aveva quindi chiesto il pagamento delle relative royalty. La battaglia si è inasprita ulteriormente dal 2013 quando Google subentrava a seguito dell’acquisizione di Motorola stessa.

I termini dell’accordo appena sottoscritto sono, ovviamente, segretati tuttavia è trapelato che gli ex-contendenti hanno deciso di “collaborare su alcune questioni brevettuali e su alcune questioni relative ad aree che in futuro potranno portare a benefici per gli utenti”. La pace ora siglata sembra dunque confermare la recente tendenza all’interno delle grandi aziende ICT nei confronti dei contenziosi sui brevetti: l’idea è che lo scontro legale frontale finisca per costare troppo senza portare reali risultati. La stessa guerra Microsoft-Motorola si era ramificata davanti ai Tribunali di diversi Paesi con tutte le difficoltà e conseguenze del caso, convincendo le contendenti che fosse preferibile raggiungere un più utile (ed economico) accordo di coesistenza.

Con la sentenza n. 2271/2015 dello scorso 19 febbraio, la Sezione Specializzata in materia di impresa del Tribunale di Milano è tornata a occuparsi di un tema che contrappone da anni i fabbricanti di autovetture e i produttori di componenti: quello dell¹ambito della cosiddetta “clausola di riparazione”.
Audi, la nota casa automobilistica tedesca, aveva convenuto in giudizio due aziende italiane che offrivano in commercio “repliche” di cerchioni per le sue autovetture, che essa aveva registrato separatamente come modelli comunitari. Per l’attrice, quest’attività costituiva pura e semplice violazione dei propri diritti esclusivi sui modelli in questione,
meritevole di inibitoria, ordine di ritiro dal commercio e distruzione dei prodotti circolanti e condanna al risarcimento dei danni. Per l’unica convenuta costituitasi in giudizio ­ l’altra è fallita nel frattempo ­ si trattava, al contrario, di attività del tutto lecita in virtù della c.d. “clausola di riparazione” che consente la produzione e vendita di componenti di un prodotto complesso (qui, l’autovettura), anche se protetti da modelli altrui, per la riparazione del prodotto complesso al fine di ripristinarne l¹aspetto originario.
La convenuta sosteneva, in particolare, che l’attività dei produttori di cerchioni in replica ricadesse per definizione nell¹ambito della clausola di riparazione, data la natura di “pezzi di ricambio” dei loro prodotti; e che in ogni caso vi ricadesse la propria, specifica attività, poiché essa, in concreto, evadeva diversi ordini per cerchioni singoli e nella comunicazione commerciale specificava sempre la destinazione degli stessi al ricambio.
Il Tribunale di Milano ha ribadito la propria ormai storica posizione sul punto: l¹inapplicabilità della “clausola di riparazione” ai cerchioni per ruota oggetto di modello.
La ragione dell’inapplicabilità starebbe, per i Giudici milanesi, nell’autonomia dell’estetica dei cerchioni rispetto all¹estetica della vettura, confermata nei fatti proprio dall’esistenza di operatori specializzati nella sola produzione e vendita di cerchioni, senza vincoli
di appartenenza ad alcuna casa automobilistica. L’eccezione di riparazione, infatti, non sarebbe applicabile a “pezzi a forma sostanzialmente libera che si inseriscono nell’estetica complessiva dell’automobile senza però dipenderne e che possono essere sostituiti con componenti a forma diversa senza intaccarne l’unitarietà”.
In altre parole, avendo il cerchione un’estetica propria del tutto indipendente dalle peculiarità della forma del veicolo, si deve escludere in radice che esso possa condizionare l’aspetto originario dell’autovettura e, quindi, che la sua vendita possa ritenersi finalizzata
al “ripristino” di quello. Persino quando il cerchione sia, in concreto, acquistato dal consumatore per una finalità di riparazione, non si realizzerebbe alcun ripristino dell’aspetto originario della vettura, proprio perché ” tale aspetto originario è individuato ­ sul piano estetico­ da elementi qualificanti differenti e autonomi rispetto alle
sembianze esteriori del cerchio della ruota”.
Sulla base di tali rilievi, il Tribunale ha dichiarato che l’attività di entrambe le convenute costituisce contraffazione dei modelli azionati da Audi, ha inibito loro di proseguire la produzione, commercializzazione e promozione pubblicitaria dei cerchioni in replica oggetto di causa, ordinato la pubblicazione del dispositivo della sentenza su un quotidiano
e una rivista specializzata, e ordinato a entrambe il ritiro dal commercio e la distruzione dei cerchioni circolanti a propria cura e spese. Per il risarcimento dei danni nei confronti della sola convenuta non fallita (per l’altra, la questione dovrà discutersi in sede concorsuale) ha invece disposto la prosecuzione del giudizio, ritenendo necessaria ulteriore istruttoria.
(Estratto articolo pubblicato su Diritto 24 Autore Avv. Luigi Manna.